Coronavirus e l’auto: crolla la produzione e slitta l’elettrico.

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Da editor Aprile 24, 2020 08:32

Coronavirus e l’auto: crolla la produzione e slitta l’elettrico.

Il Coronavirus sta influenzando anche il settore delle auto ed in modo pesante.

Gli stabilimenti ed i concessionari sono chiusi in tutta Europa. Per quanto riguarda le immatricolazioni invece sono crollate oltre l’80%, nel mese di marzo, con l’emergenza che potrebbe prolungarsi per altri 4/6 mesi.

La pandemia causata dal Coronavirus sta stravolge tutti gli scenari.

Potrebbe aprirsi per la prima volta un processo di de-globalizzazione. Si potrebbe ipotizzare la costituzione di macro-aree regionali capaci di coprire per intero tutta la filiera della componentistica.

Ci sarà lo slittamento di un anno degli investimenti sull’ elettrico da parte di tutti i costruttori.

Questo scenario dovrebbe portare la Commissione UE anche ad una revisione dei limiti sulle emissioni. Saranno pensate in un periodo molto diverso prima degli effetti del Coronavirus, con i riflessi di uno shock su domanda e offerta.

L’opinione di Giorgio Barbieri

Giorgio Barbieri, partner Deloitte e responsabile italiano del settore automotive, evidenzia che «l’impatto dell’emergenza COVID-19 sulla filiera automobilistica si è limitato inizialmente agli stabilimenti cinesi e all’export di componentistica, destinato soprattutto ai produttori coreani e giapponesi, per poi ampliarsi rapidamente generando uno shock manifatturiero su larga scala che ha invaso anche i Paesi occidentali.

In un anno ci sarà un crollo della produzione di veicoli pari a circa 11 milioni di unità. Si passerà dagli 88,9 milioni del 2019 ai 77,9 milioni per l’anno in corso.

Al momento vi è ancora incertezza riguardo alle conseguenze a medio-lungo termine del Coronavirus.

Ma è evidente che le ripercussioni economico-finanziarie si stanno diffondendo in maniera ramificata attraverso la supply-chain internazionale dell’ Automotive, dalle materie prime ai semi-lavorati fino ai prodotti finiti. E ciò sta mettendo in discussione il modello globalizzato di catena del valore nel settore».

Effetto domino

Barbieri parla di un effetto domino amplificato dal profilo internazionale. Ciò contraddistingue la rete dei fornitori, dove il blocco di uno stabilimento o l’interruzione della disponibilità di una tipologia critica di componenti può generare contraccolpi a cascata.

«Questo effetto è a sua volta accentuato dall’ adozione di strategie “just-in-time” volte ad incrementare l’efficienza operativa comprimendo le scorte di magazzino.

Vi è poi la certezza che, a fronte di rischi improvvisi e imprevisti, la ridefinizione della lista dei fornitori verso altre aree geografiche risulta complessa non solo da un punto di vista contrattuale e normativo, ma anche in termini di costi.

Infine bisogna considerare il fatto che alcune aree geografiche sono degli “hub” o nodi chiave per le transazioni all’ interno del network.

Lockdown

Il loro “lockdown” dovuto al Coronavirus può causare un forte impatto anche in altre regioni. Ad esempio rallentando i flussi logistici, limitando gli spostamenti internazionali, allungando le tempistiche e incrementando fortemente i costi di approvvigionamento».

E’ possibile che questa pandemia faccia passare la Cina come fabbrica del mondo.

Bisognerà rivedere la catena del valore, con processi di internalizzazione obbligatori per alcune attività con l’obiettivo di limitare l’effetto pandemico su tutta la catena logistica.

Secondo Barbieri le imprese sono chiamate ad un ripensamento delle proprie strategie di approvvigionamento. Ciò non esclude un eventuale processo di produzione al proprio interno dei componenti a maggior rischio e indispensabili per la continuità produttiva, per i quali è imperativo garantire un rifornimento continuo.

Sotto questo aspetto le strategie possono essere studiate e implementate in una logica “multisourcing”, per cui i produttori mantengono un network internazionale di fornitori ma, al contempo, tengono sotto controllo la costante disponibilità dei componenti chiave, anche con percorsi produttivi interni.

Il “lockdown” degli stabilimenti anche nei Paesi occidentali affina ulteriormente il depauperamento della rete delle forniture.

La gravità della situazione deriva dal sinergismo tra effetti della pandemia e crollo di domanda del mercato dell’auto, coniugato con un calo della produzione industriale.

Il calo della produzione

Nel complesso, le stime più recenti relative al 2020 indicano un calo della produzione di oltre 2 milioni di auto in Nord America e quasi 3 milioni in Europa.

Per le imprese del settore, il blocco delle attività si traduce in una crescente pressione sui margini di profitto e sulla liquidità, a fronte di forti investimenti e costi fissi che devono essere ammortizzati.

Molte imprese del settore saranno perciò costrette a ridurre i costi, sacrificando i progetti più innovativi.

Barbieri spiega che «il rischio è quello di intraprendere un circolo vizioso fra domanda e offerta di mercato. Se la situazione non migliorerà nel corso dei prossimi mesi, la chiusura degli stabilimenti potrebbe causare pesanti conseguenze in termini di ridimensionamento della forza lavoro, riducendo ulteriormente sia la capacità produttiva che la capacità di spesa dei consumatori.

Il risultato sarebbe una continua revisione al ribasso dei volumi di produzione e un aggravio della crisi economica alla quale contribuirebbe anche l’incremento del peso degli ammortizzatori sociali e delle misure di sostegno al reddito. Il settore delle auto rappresenta più del 7% del PIL europeo e impiega (con l’indotto) quasi 14 milioni di lavoratori».

Il comparto elettrico

Anche la spinta all’ elettrico subisce una battuta d’arresto.

Il comparto elettrico ha subito il contraccolpo della crisi generale del settore. Alla luce del fatto che la Cina è il principale produttore di batterie al mondo con una quota superiore 50% e un distacco su Stati Uniti (7%) ed Europa (2%).

«Anche per i veicoli elettrici le stime relative al 2020 saranno decisamente diverse rispetto a quanto previsto fino a pochi mesi fa. Ci sarà una maggiore incertezza sulle tempistiche di trasformazione del settore della mobilità. L’effetto si rifletterà anche sul lancio dei nuovi modelli elettrici previsti per quest’anno, a causa del rinvio o dell’annullamento di molti eventi di punta>> sottolinea Barbieri. 

Questo, a sua volta, porterà ad un progressivo slittamento dei modelli successivi e dei relativi investimenti. La complessità della tecnologia legata allo sviluppo della mobilità elettrica richiede enormi investimenti pluriennali in ricerca e sviluppo, che al momento appaiono incompatibili con la contrazione dei margini di profitto e la crisi di liquidità delle imprese».

Conclusione

Ecco perché prende piede l’ipotesi anche di uno slittamento delle penalizzazioni della Ue relative al mancato raggiungimento dei target sulle emissioni definiti in un periodo del tutto diverso da quello attuale, ma che oggi appaiono decisamente irraggiungibili.

«Basti pensare che i livelli sono stati abbassati del 27% dal 2012 ad oggi ed è prevista un’ulteriore riduzione pari al 15% entro il 2025; inoltre, ancor prima dell’attuale crisi, si prospettavano sanzioni di circa 400 milioni di euro per metà delle case produttrici in Europa nel 2020 e di 3,3 miliardi nel 2021, sottolinea Barbieri. È dunque ragionevole prevedere che, alla luce del peso del settore Automotive sull’economia e degli sforzi finanziari già messi in campo dalla BCE per sostenerla, i vincoli ambientali saranno inevitabilmente allentati per poter rimettere in moto la macchina industriale.

Fra le possibili soluzioni ipotizzabili a causa del Coronavirus, vi è lo slittamento temporale dei target di almeno uno o due anni. In questo modo le imprese potrebbero ritrovare l’ossigeno di cui hanno bisogno per ripartire su basi nuove».

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